Mi capita talvolta di sentire delle discussioni riguardo il cosiddetto “allenamento a sensazione”, contrapposto a quello delle famose “tabelle”. Come se le due cose fossero parte di emisferi lontani e non collegabili in alcun modo tra loro. Il dibattito tra chi sostiene che le tabelle siano una prigione, che snaturino lo sport, contro chi invece pensa che allenarsi con un piano dettagliato e le tabelle sia il vero modo per progredire seriamente, prosegue da tanti anni nel mio ambiente.
La verità come sempre sta nel mezzo. I più grandi atleti che ho allenato (non i più vincenti, ma quelli che si allenano meglio in termini assoluti) sono in realtà capaci di mixare il meglio di entrambi gli aspetti, ossia tabelle e programmi (scienza) che io propongo, e le loro sensazioni e feedback settimana per settimana. Ed il confronto tra i due aspetti produce un innalzamento della qualità del lavoro insieme.
Per un allenatore infatti l’atleta capace di gestire giorno per giorno il plan, basandosi anche sulle sensazioni e sulle risposte individuali del proprio fisico, è un vero e proprio alleato per la riuscita del comune obiettivo. L’atleta che non riesce a raccontare le proprie sensazioni del momento, o che sbaglia completamente nel valutare gli aspetti della sua prestazione o sopra/sottovaluta il recupero, non è di aiuto per il miglioramento, anzi, lo ostacola perché rende poco conmprensibile lo sviluppo del lavoro insieme.
Non esiste infatti alcuna tabella realmente efficace se, oltre all’analisi scientifica e seria delle risposte fisiologiche, non affianchiamo una critica matura e costruttiva da parte dell’atleta. Così come non esiste alcun allenamento a sensazione (ma casuale nei carichi) che possa sostituire un programma chiaro e scientificamente valido.
Le due cose vanno a braccetto, ma non sempre nella pratica di questi anni. Talvolta infatti capita di analizzare dei dati di allenamento e notare come, nella sostanza, le parole dell’atleta non combacino con i dati grezzi, duri e puri. Gare andate benissimo che vedono pareri negativi da parte del protagonista, oppure atleti che valutano i propri carichi di lavoro in modo errato. Credendo magari di potersi allenare in modo molto più pesante ed intenso, per eccesso di passione o foga agonistica, rispetto alle reali capacità di recupero del proprio fisico. O mettendo nel computo delle sensazioni anche aspetti extra-sportivi che invece andrebbero tenuti separati.
Per questo esistono aspetti pratici che consiglio ad ogni atleta, dal pro all’amatore (stesura di commenti puntuali post allenamento, valutazione della RPE del singolo esercizio, analisi anche tramite telefono o videocall, il diario degli allenamenti) atti a superare la distanza fra tabelle e sensazioni. Lo stesso confronto tra atleta ed allenatore è fondamentale per creare nuovi stimoli, idee, confronti che possano far crescere entrambi, e cerco di far sì chei miei atleti imparino a valutare gli sforzi in modo sincero così come ad usare il loro misuratore di potenza.
Bisogna analizzare i dati in modo oggettivo e soggettivo, approcciare i dati scientifici tanto quanto gli aspetti soggettivi, l’atleta che vuole migliorare seriamente deve sapersi conoscere a fondo e valutare con lo sguardo esterno del coach le qualità e le sfide che lo attendono.
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